A Cana il volto gioioso del Padre

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

Festa un po’ strana, quella di Cana di Galilea: lo sposo è del tutto marginale, la sposa neppure nominata; protagonisti sono due invitati, e alcuni ragazzi che servono ai tavoli. Il punto che cambia la direzione del racconto è il vino che viene a mancare. Il vino nella Bibbia è il simbolo dell’amore. E il banchetto che è andato in crisi racconta, in metafora, la crisi dell’amore tra Dio e l’umanità, un rapporto che si va esaurendo stancamente, come il vino nelle anfore. Occorre qualcosa di nuovo. Vi erano là sei anfore di pietra… Occorre riempirle d’altro, finirla con la religione dei riti esterni, del lavarsi le mani come se ne venisse lavato il cuore; occorre vino nuovo: passare dalla religione dell’esteriorità a quella dell’interiorità, dell’amore che ti fa fare follie, che fa nascere il canto e la danza, come un vino buono, inatteso, abbondante, che fa il cuore ubriaco di gioia (Salmo 104,15). Il Vangelo chiama questo il “principe dei segni”, il capostipite di tutti: se capiamo Cana, capiamo gran parte del Vangelo. A Cana è il volto nuovo di Dio che appare: un Dio inatteso, colto nelle trame festose di un pranzo nuziale; che al tempio preferisce la casa; che si fa trovare non nel santuario, nel deserto, sul monte, ma a tavola. E prende parte alla gioia degli uomini, la approva, si allea con loro, con l’umanissima, fisica, sensibile gioia di vivere; con il nudo, semplice, vero piacere di amare; che preferisce figli felici a figli obbedienti, come ogni padre e madre. Il nostro cristianesimo che ha subito un battesimo di tristezza, a Cana riceve un battesimo di gioia. Maria vive con attenzione ciò che accade attorno a lei, con quella «attenzione che è già una forma di preghiera» (S. Weil): «non hanno più vino». Notiamo le parole precise. Non già: è finito il vino; ma loro, i due ragazzi, non hanno più vino, sta per spegnersi la loro festa. Prima le persone. E alla risposta brusca di Gesù, Maria rilancia: qualunque cosa vi dica, fatela! Sono le sue ultime parole, poi non parlerà più: Fate il suo Vangelo! Non solo ascoltatelo, ma fatelo, rendetelo gesto e corpo, sangue e carne. E si riempiranno le anfore vuote del cuore. E si trasformerà la vita da vuota a piena, da spenta a fiorita. Il mio Gesù è il rabbi che amava i banchetti, che soccorre i poveri di pane e i poveri di vino. Il Dio in cui credo è il Dio di Gesù, quello delle nozze di Cana; il Dio della festa e del gioioso amore danzante; credo in un Dio felice, che sta dalla parte del vino migliore, del profumo di nardo prezioso, dalla parte della gioia: la felicità di questa vita si pesa sul dare e sul ricevere amore.

(Letture: Isaia 62,1-5; Salmo 96; Prima lettera ai Corinzi 12,4-11; Giovanni 2,1-11)

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